La Risiera di San Sabba, nel centro cittadino di Trieste, è l’unico campo di sterminio nazista in Italia. La Risiera di San Sabba – il grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso costruito nel 1898 nel periferico rione di San Sabba, e negli anni ‘40 in disuso – offrì la struttura e i locali adatti all’internamento e all’annientamento di diverse categorie di prigionieri. La città di Trieste entra, dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, a far parte – insieme alle province di Udine, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana – della cosiddetta “zona di operazione del Litorale Adriatico”, sotto il diretto controllo del Terzo Reich. Infatti, dopo l’8 settembre 1943, data che segna la dissociazione della monarchia italiana dalla Germania e la proclamazione dell’armistizio, la Venezia Giulia cessa, di fatto, di far parte dello Stato italiano e, con la costituzione della zona di operazione dell’Adriatisches Küstenland (Litorale Adriatico), diventa un territorio direttamente amministrato dal Terzo Reich. In tale modo, l’istituzione del ”Litorale Adriatico”, comprendente le province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana, sancì l’annessione di fatto alla Germania di un’ampia area gravitante sull’Alto Adriatico e sul bacino della Sava. Il governo del “Litorale” è affidato da Hitler al Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer, nazista austriaco che odiava l’Italia. Secondo le sue valutazioni etnico-razziali il Friuli e la Venezia Giulia erano per la gran parte estranei alla nazione italiana per cui la loro separazione dallo Stato italiano si giustificava anche sotto questo profilo.
L’“alto commissario” Rainer assume il 1° ottobre del 1943 tutti i poteri politici e amministrativi, e in breve tempo fissa i capisaldi della sua illimitata sovranità, sottoponendo prefetti e podestà al controllo di “consiglieri” tedeschi e stabilendo norme per l’impiego delle milizie collaborazioniste locali, sia italiane sia slovene e croate, le quali a vario titolo e con diverse denominazioni, furono poste al servizio degli occupanti. Passano così alle dipendenze delle SS le formazioni della milizia fascista, che qui non si trasformeranno, come nella neo-costituita repubblica di Salò, in Guardia Nazionale Repubblicana, ma assumeranno il nome di ”Milizia Difesa Territoriale”, e i vari reparti di polizia, tutti impiegati anche nelle operazioni di rastrellamento. Tra questi l’Ispettorato Speciale di P. S. per la Venezia Giulia, agli ordini dell’ispettore generale Giuseppe Gueli, la cui sede era nella cosiddetta ”Villa Triste” di via Bellosguardo, creato sin dall’aprile del 1942 con specifici compiti di repressione della guerra partigiana e di controllo della classe operaia nelle grandi fabbriche. Tale Ispettorato – la cui sezione operativa divenne tristemente nota come ”banda Collotti”, dal nome del suo comandante, il commissario Gaetano Collotti – continuò il suo ”servizio” dopo l’8 settembre fornendo ai tedeschi una preziosa e fattiva collaborazione contro gli antifascisti e nella cattura degli Ebrei. Prima della seconda guerra mondiale gli Ebrei triestini erano circa 5000. Dopo le leggi razziali fasciste del 1938 e l’istituzione anche a Trieste di uno dei famigerati ”Centri per lo studio del problema ebraico” (erano quattro in tutta Italia), molti Ebrei decisero di emigrare all’estero. Ciò nonostante i nazisti riuscirono a deportare nei campi di sterminio più di 700 Ebrei triestini. Di questi solo una ventina sopravvisse e fecero ritorno. Il controllo poliziesco, la repressione politica, razziale e contro i partigiani, vengono affidati alla supervisione delle SS il cui comandante, Odilo Lotario Globocnik, triestino di nascita, legato ad Himmler e già organizzatore dei massacri di oltre due milioni e mezzo di Ebrei in Polonia (Aktion Reinhard), si installa a Trieste con un nutrito seguito di ”professionisti” della morte, già distintisi in modo sinistro nelle varie operazioni di sterminio in Germania, Polonia, U.R.S.S. e nei campi della morte nazisti di Belzec, Sobibor e Treblinka. Con Globocnik arrivano a Trieste gli uomini dell’Einsatzkommando Reinhard, ben novantadue specialisti tra i quali numerose SS ucraine, uomini e donne. Gli Einsatzgruppen o Einsatzkommandos erano reparti speciali, creati allo scopo di ”condurre la lotta contro i nemici ostili al Terzo Reich alle spalle delle truppe combattenti” e di svolgere compiti di particolare ”impegno” per l’attuazione della politica di occupazione, di repressione e di sterminio praticata dal Terzo Reich nei territori invasi. Questi gruppi dipendevano dall’RSHA, cioè dall’ufficio centrale della polizia di sicurezza del Terzo Reich (Reichssicherheits-hauptamt), a sua volta dipendente dal Ministero degli Interni alla cui testa era il Reichsführer SS e ministro Heinrich Himmler. Pochi giorni dopo l’8 settembre arriva a Trieste Christian Wirth, con alcuni suoi uomini che avevano partecipato al programma T 4 (Aktion Tiergarten 4), cioè, fin dal 1939, all’eliminazione di “malati inguaribili” tedeschi e in seguito di prigionieri dei campi di concentramento segnalati come “inguaribili” con false certificazioni dai medici di campo. L’Einsatzkommando Reinhard costituisce territorialmente diversi uffici contrassegnati dalla sigla R. Il gruppo che opera a Trieste ha la sigla R1, quello che opera a Udine ha la sigla R2, quello di Fiume ha la sigla R3. La sigla è impressa sui documenti e sulle celle della Risiera. Il primo comandante dell’Einsatzkommando a Trieste è Christian Wirth; dopo l’uccisione di Wirth, in un’imboscata partigiana a Erpelle il 26 maggio del 1944, gli subentra August Dietrich Allers. Il braccio destro di Allers e comandante della Risiera sarà Joseph Oberhauser. La presenza di un tale “staff”, eccezionale per responsabilità direttive e organizzative nella politica di sterminio in Europa, nel “Litorale Adriatico” è giustificata dall’estrema importanza che tale territorio aveva per il Terzo Reich.
Il “Litorale” è l’ultima conquista europea dell’imperialismo nazista. Trieste, l’Istria e il Friuli sono una piattaforma economica e politica dell’espansionismo germanico nel Sud – Europa e nell’area mediterranea che sono, nel contempo, una “cerniera” strategica essenziale fra il settore balcanico, sconvolto dalla guerra partigiana e minacciato dall’avanzata sovietica, il fronte italiano e la Germania meridionale. Gli sviluppi del conflitto, la ribellione eroica dei popoli qui conviventi, costringeranno l’apparato repressivo nazista ad abbandonare questa sua ultima conquista territoriale. In realtà, la Risiera fu subito trasformata, con l’edificazione di un forno crematorio collegato alla preesistente ciminiera e di alcune celle destinate ai condannati, in un vero e proprio campo di sterminio di Ebrei, partigiani e prigionieri politici. Molto spesso i prigionieri politici vengono sottoposti a torture o usati come ostaggi da eliminare in caso di rappresaglie. Infatti, nel cortile interno, proprio di fronte alle celle, sull’area oggi contrassegnata da una piastra metallica, c’era l’edificio destinato alle eliminazioni – la cui sagoma è ancora visibile sul fabbricato centrale – con il forno crematorio. L’impianto, al quale si accedeva scendendo una scala, era interrato. Una canale sotterraneo, il cui percorso è pure segnato da una piastra d’acciaio, univa il forno alla ciminiera. Sull’impronta metallica della ciminiera sorge oggi una simbolica “Pietà” costituita da tre profilati metallici a segno della spirale di fumo che usciva dal camino. L’edificio del forno crematorio e la connessa ciminiera furono distrutti con la dinamite dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile del 1945, per eliminare le prove dei loro crimini, secondo la prassi seguita in altri campi al momento del loro abbandono. Tra le macerie furono rinvenute ossa e ceneri umane raccolte in tre sacchi di carta, di quelli usati per il cemento. Calcoli effettuati sulla scorta delle testimonianze danno una cifra tra le tre e le cinquemila persone soppresse in Risiera. Sicuramente fu un numero ben maggiore i prigionieri e i ”rastrellati” passati dalla Risiera e da lì smistati nei lager o al lavoro obbligatorio. Triestini, friulani, istriani, sloveni e croati, militari, Ebrei: bruciarono nella Risiera alcuni dei migliori ”quadri” della Resistenza e dell’Antifascismo. Nell’aprile del 1976, si concluse a Trieste, a distanza di trent’anni, il processo ai responsabili dei crimini commessi durante l’occupazione tedesca alla Risiera di San Sabba. Erano accusati – fra gli altri – due nazisti: Joseph Oberhauser, un birraio di Monaco di Baviera, e l’avvocato August Dietrich Allers di Amburgo. Il primo era il comandante della Risiera, il secondo era il suo diretto superiore fin dal tempo del programma T 4. Al processo per i crimini della Risiera di San Sabba il banco degli imputati è rimasto vuoto: parecchi di essi erano stati giustiziati dai partigiani, altri deceduti per cause naturali. August Dietrich Allers è morto nel marzo del 1975, Joseph Oberhauser è rimasto a vendere birra a Monaco. La giustizia italiana non ne ha chiesta l’estradizione poiché gli accordi italo-tedeschi che regolano questo istituto si limitano ai crimini successivi al 1948. Il processo si è concluso con la condanna dell’Oberhauser all’ergastolo. Il criminale nazista è deceduto all’età di 65 anni il 22 novembre del 1979.
Un processo, dunque, inutile? Di là dell’originaria impostazione processuale fondata su un’incredibile e inaccettabile distinzione fra “vittime innocenti” e “vittime non innocenti”, di là di una logica formalistica che ha voluto dissociare i fatti criminosi dalle loro radici storiche e politiche, di là di una condanna mai scontata, resta che alfine si è incrinata la coltre di silenzio scesa per oltre trent’anni sul lager di San Sabba. Simon Wiesenthal, un ebreo che ha dedicato tutta la sua vita a far luce sui crimini nazisti e a ricercarne i responsabili, ha detto in merito al processo: “Non è solo un’esigenza di giustizia, ma anche un problema educativo. Tutti devono sapere che delitti come questi non cadono sul fondo della memoria, non vengono prescritti. Chiunque pensasse a un nuovo fascismo deve sapere che, alla fine, sarà sempre la giustizia a vincere. Anche se i mulini della giustizia macinano lentamente”. Nel 1965 la Risiera di San Sabba è divenuta Monumento Nazionale per decreto del Presidente della Repubblica e, dal 1975, è museo civico (Civico Museo della Risiera di San Sabba).