Anche io ho visto Barbie e come era prevedile mi ha sollevato molte riflessioni. Avevo letto precedentemente centinaia di critiche in senso sia positivo che negativo, fatto che basta da solo a confermare il grande successo di pubblico raggiungendo oramai il miliardo di dollari di incassi globale. Quando un evento suscita così tanta attenzione in maniera trasversale, merita sempre rispetto ed interesse perchè genera dibattiti animati. Trovo sbagliato etichettare per sminuire, come se un prodotto di massa dovesse essere per forza mediocre ed il pubblico fosse composto da amebe .
Quel pubblico che in ogni parte del mondo di tutte le età si è vestito di rosa per andare al cinema è un’immagine potente che mi ha fatto ripensare alle parole di Margaret Atwood nel “Diario delle Ancelle”: “Non ci dovevano dare un’uniforme, se non volevano che fossimo un esercito.”
Questo apparirebbe classista e, tanto per restare sulla notizia, mi farebbe apparire come una Concita Di Gregorio dei poveri.
Anzitutto partirò dalle cose che ho apprezzato.
Il film funziona per come è organizzato l’universo profilmico, dalle musiche ai costumi, dalla fotografia alla recitazione in cui innegabilmente Margot Robbie è Barbie, dimostrando però di essere anche una grande performer uscendo fuori dall’etichetta della bionda patinata che le si vuole cucire addosso ad ogni costo.
Anche Ryan Gosling merita una menzione speciale, abituati a vederlo in ben altri ruoli, riesce qui ad essere sempre credibile. Per me voto dieci.
Funziona anche perché la bambola Barbie è un prodotto entrato nell’immaginario collettivo a partire dal 1959 a testimonianza di un cambiamento epocale dirompente. In precedenza l’unica possibilità di gioco per le bambine era quella dell’accudimento, sin dalla tradizione vittoriana si educavano le bambine al ruolo di madri e di mogli.
Barbie irrompe a modificare il costume ed il solo ricordarla rievoca in ognuna la bambina che è stata, i pomeriggi passati “nell’immaginazione”, con il gioco del “fare finta”. Pezzi simbolici potenti di un passato che ritorna. Nella pellicola sono numerose le citazioni, come quella del capolavoro di Kubrick “Odissea nello spazio” per mitizzare la rivoluzione copernicana nel costume.
Vi è un però: non tutte avevano la possibilità economica di avere Barbieland. Il costo delle bambole non era cosi accessibile e molte dovevano accontentarsi della sua versione economica Tanya.
Nel film la narrazione dominante è ricreare un mondo anti-maschilista (non riuscendovi affatto) e trovo questa chiave di lettura alquanto stonata.
Dal mio punto di vista l’impatto rivoluzionario di Barbie è stato quello di suscitare nelle giovani l’immagine sessualizzata della donna che sarebbero diventate.
Barbie era anzitutto il gioco della seduzione, la concessione del pensiero e della possibilità di essere persone sessuate. Questa a mio avviso è la rottura col passato, restituire un’ immagine nuova di donna che attraverserà tutta la seconda metà del Novecento. La bambola Barbie ha avuto il merito di farci pensare in un corpo e questo mi pare un traguardo non trascurabile.
Dobbiamo dirlo una volta per tutte, Barbie non è mai stata icona di lotta al maschilismo, lo era Malibu Stacy creata da Lisa nella splendida puntata dei Simpson; Ecco credo che basterebbe quella puntata per una seria critica alla Mattel.
Veniamo al film: Barbie è un film femminista ?
Ho sentito e letto ripetutamente questa interpretazione, ma quale femminismo ?
Esistono diversi femminismi e Barbie rappresenta quello liberale, alla Ferragni: “Se vuoi, puoi” oppure “Pensati libera” o ancora “Puoi fare ciò che vuoi col tuo corpo”. Una rappresentazione moderna solo formalmente di inclusione, senza mai diventare seriamente tema politico. Tutto il femminismo resta sul corpo e nella rappresentazione del pensarsi libera oltre la cellulite. Il femminismo è altro, è un movimento politico. Il film non mostra alcuna soluzione e manca della rappresentazione della realtà e della lotta tanto che, per mettere in scena l’oppressione del ruolo di genere, ci si deve affidare al monologo di America Ferrera e, come disse Hitchcock nella celebre intervista concessa a Truffaut, qualunque cosa venga detta, anzichè mostrata, per il pubblico è perduta.
Al tempo stesso però, aver dato modo alle più giovani di riflettere su temi quali patriarcato e sui meccanismi assurdi di dominio maschilista ha reso questi concetti notiziabili.
Conclusioni.
Femminismo non è il contrario di maschilismo, gli uomini non sono tutti stupidi e questo passaggio nel film non mi è piaciuto affatto. Quella che viene dipinta è un’immagine misandrica della realtà, in Barbieland gli uomini sono solo oggetto, il potere é in mano alle donne che sono l’Alfa e l’Omega e questa lettura strizza l’occhio ai Redpilliani e agli MRA (odiatori di donne). Nemmeno la soluzione per distruggere il patriarcato nel film mi è piaciuta. Non vi è nessuna elaborazione politica sull’autocoscienza: per riprendersi il potere le donne hanno usato la seduzione per sottomettere i maschi facendo sponda all’anti-femminismo.
L’unico che mostra una presa di coscienza è Allan e la Barbie ordinaria non esiste, per cui Barbie è una bugia!
Lei stessa è la prima a farsi body-shaming e si è persa una buona opportunità di raccontare
le donne che hanno il seno un pò cadente,
le donne che hanno imparato ad accettarsi in un corpo non stereotipato,
le donne che si fanno il mazzo a lavoro,
le donne che sono costrette a scappare da Ken, perché il patriarcato può far mare da morire.
In ultimo Barbie tradisce anche la sua essenza, recidendo la sua sessualità non lasciandone alcuna traccia all’interno della pellicola. Non vi è nessuna relazione affettiva, non ci sono figli, non ci sono relazioni con gli uomini come se l’unico modo di essere donna fosse tra le donne; Donne che ancora una volta assurgono a ruolo di consolatrici di uomini, facendogli da surrogato di madri, in modo che pure i Ken si accettino e si pensino liberi ma fuori da qualsiasi relazione.
A mio avviso ne esce una donna monca, ma del resto Barbie non ha la vagina.