Alla morte di Gesù furono molti che pretesero di spiegare meglio alcuni aspetti incerti e oscuri della sua predicazione. Infatti, la gente vissuta agli inizi del Cristianesimo, esattamente come gli uomini di oggi, voleva risposte precise e dettagliate sulla natura di Dio Padre e del Cristo, sull’essenza dello Spirito Santo, sul mistero dell’Incarnazione e sull’enigma della Risurrezione, sulle caratteristiche dell’aldilà e sul destino delle anime dopo la morte. A queste e a tantissime altre domande, Gesù non diede risposte esaurienti. Così su questi e su molti altri argomenti molte persone erudite diedero la propria versione dei fatti, il più delle volte discordanti e contrastanti tra loro e soprattutto dalle rivelazioni di Gesù. Ci furono addirittura alcuni pensatori che misero in dubbio la natura divina di Gesù affermando che fu concepito da un adulterio. Infatti, secondo una variante della storia, rifiutata dai religiosi e non avvalorata da molti studiosi, Gesù non sarebbe figlio dello Spirito Santo, ma di un molto più concreto legionario romano, un certo Pantera, di stanza nella regione durante quel periodo.
La tradizione è piuttosto antica e se ne ha testimonianza nel filosofo greco Celso che intorno al 178 d.C. durante il regno dell’imperatore romano Marco Aurelio, scrive un trattato contro i cristiani chiamato Alethès lógos (tradotto in genere come La vera dottrina, La vera parola, Discorso vero, Discorso di verità), opera smarrita ma della quale ne conosciamo la sua esistenza nonché alcune sue parti grazie al testo scritto intorno al 248 d.C. da Origene di Alessandria denominato “Contra Celsum”, dove lo scrittore cristiano confutava le argomentazioni di Celso. Ecco cosa afferma Celso: “T’inventasti la nascita da una vergine: in realtà tu sei originario da un villaggio della Giudea e figlio di una donna di quel villaggio, che viveva in povertà filando a giornata. Questa fu scacciata dal marito, di professione carpentiere, per comprovato adulterio. Ripudiata dal marito e vergognosamente randagia, essa ti generò quale figlio furtivo. A causa della tua povertà, hai lavorato come salariato in Egitto, dove sei diventato esperto in taluni poteri, di cui vanno fieri gli Egiziani. Poi sei tornato, e insuperbito per questi poteri, proprio grazie ad essi ti sei proclamato figlio di Dio. Tua madre, dunque, fu scacciata dal falegname, che l’aveva chiesta in moglie, perché convinta di adulterio e fu resa incinta da un soldato di nome Pantera. Ma l’invenzione della nascita da una vergine è simile alle favole di Danae, di Melanippe, di Auge e di Antiope. Ma era forse una bella donna tua madre e, appunto perché bella, a lei si unì Dio, che pur non è naturalmente portato ad amare un corpo corruttibile? Non sarebbe stato neppure verosimile che Dio si fosse innamorato di lei. Ella non era donna di condizione ricca o regale, dal momento che nessuno la conosceva, nemmeno i vicini, e, una volta venuta in odio al falegname e ripudiata, non la salvò né la divina provvidenza né il Verbo della Persuasione. Tutto questo, dunque, non ha nulla a che vedere col regno di Dio” (Celso, Discorso veritiero, I, 28). Non c’è solo Celso a dirlo, ma anche nelle Toledot Jeshu come nel Talmud, e la letteratura ecclesiastica etiope e gli scritti e i detti ebraici medievali hanno rafforzato questa nozione, riferendosi a “Yeshu ben Pantera”, che si traduce in “Gesù, figlio di Pantera”. Il rabbino Eliezer Ben Ircano, che visse alla fine del I secolo d.C., parla di insegnamenti a lui stesso impartiti “nel nome di Gesù, figlio di Pantera, da Giacobbe di Sikhnin, della città di Sefforis”, e l’archeologia. Infatti, nell’ottobre 1850, durante la costruzione di una ferrovia in Germania precisamente nella città di Bingerbrück (l’antica Bingium, vicino a Magonza, nella romana Germania superiore), fu trovato un vasto cimitero di epoca romana, e nel 1859 furono portate alla luce nove sepolture con i loro monumenti e lapidi con iscrizioni. L’iscrizione su una di esse, conservata presso il museo Romerhalle della città Bad Kreuznach, nominava un certo Tiberio Giulio Abdes Pantera. L’iscrizione recita appunto: “Tib(erius) Iul(ius) Abdes Pantera / Sidonia ann(orum) LXII / stipen(diorum) XXXX miles exs(ignifer?) /coh(orte) I sagittariorum /h(ic) s(itus) e(st)” , “Tiberio Giulio Abdes Pantera, nato a Sidone, di 62 anni, per 40 anni soldato vessillifero della I coorte arcieri, qui giace” (CIL XIII 7514). Il nome Pantera era forse il suo cognome e si riferisce alla pantera (animale) mentre i nomi di Tiberio Giulio sono nomi acquisiti che probabilmente gli furono dati quando ottenne la cittadinanza romana in riconoscimento del suo servizio nell’esercito di Roma. Il nome Abdes significa “servo di Dio” (in aramaico Ebed) e suggerisce che Pantera avesse un retroterra semitico o addirittura ebraico. Abdes Pantera era di Sidone, oggi Saida (in arabo) città del Libano a soli 90 Km da Seffori oggi Zippori, e morto a sessantadue anni nel 40 d.C., dopo quarant’anni di onorato servizio come vessillifero tra gli arcieri romani. Questo elemento non è la conferma di tutta la storia, ma almeno del fatto che, in quell’epoca e in quella zona, c’era almeno un soldato romano che si chiamava Pantera. Rimettendo insieme i pezzi, si riesce a ricostruire una storia alternativa. Nel 4 d.C. la città di Zippori, a sei chilometri da Nazareth, fu distrutta dalle truppe romane guidate da Publio Quintilio Varo come punizione per una ribellione che morirà nella battaglia di Teutoburgo del 9 d.C., in Germania. È possibile immaginare che uno dei suoi uomini, durante la conquista di Zippori, avesse messo incinta una donna della zona, cioè Maria (la tradizione cristiana vedrebbe Gioacchino, Anna e Maria originari di quella città) e sia ripartito con il suo comandante verso la Germania dove sarebbe morto come testimonia la lapide. Possibile? Vero? Chi lo sa. È comunque una ricostruzione più verosimile rispetto a quella ufficiale che, ricordiamo, contempla la presenza di vergini madri, arcangeli, parti in grotte / capanne, angeli che volano a dare annunci ai pastori. Tolto il velame mitologico, attinto da leggende e rituali antichissimi, la storia di Pantera aiuta a dare una spiegazione razionale a un racconto altrimenti pieno di buchi. Perché Maria avrebbe dovuto sposare un uomo molto più vecchio e rimanere vergine dopo essere rimasta incinta? Gli studiosi sono pronti a dire che si tratta di miti mediorientali adattati alla specifica vicenda di Gesù, dietro ai quali sarebbe inutile anzi sbagliato cercare qualche ombra di verità storica. Giusto. Potrebbero allora rispondere a un’altra domanda: perché sono stati scelti proprio quelli? Non è – si ipotizza – perché si adattano molto bene a ri-raccontare una realtà storica poco lusinghiera? Sembra di no. Secondo la maggior parte degli studiosi la storia di Pantera sarebbe falsa, nata in ambiente ebraico per screditare la nuova setta cristiana. Il nome stesso sarebbe soltanto la corruzione del greco “parthenos”, cioè Vergine, riferito a Maria. Non sarebbe esistito nessun Pantera o, se davvero è esistito (come dimostra la lapide), non avrebbe niente a che fare con la nascita di Gesù Cristo, salvo la contemporaneità e la provenienza. Eppure secondo il professor James Tabor, docente presso il dipartimento di Studi religiosi della North Carolina University (Charlotte NC), e autore del libro “La dinastia di Gesù: una nuova indagine storica su Gesù, la sua famiglia reale e la nascita del cristianesimo”, non sarebbe tutto da scartare. A suo avviso anche nei Vangeli riconosciuti dalla Chiesa affiorerebbero velate allusioni a questa strana vicenda. Infatti, uno degli episodi più strani riferiti da Marco nel suo vangelo, scrittura compilata prima degli altri apostoli e cioè che Marco appella Gesù sempre come “figlio di Maria” non menzionando mai Giuseppe e le circostanze dei suoi natali e noi sappiamo che nel mondo ebraico, quando si vuole identificare una persona, si cita il nome seguito da quello del padre. Riferisce Marco (7, 24) di un misterioso viaggio-parallelo compiuto da Gesù durante la sua predicazione nelle terre limitrofe Genezaret; “Partito di là, andò nella regione di Tiro e di Sidone. Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto”. Inoltre Marco (7, 31) riferisce che quando ritornò in Galilea proveniente da Tiro, Gesù passò per Sidone percorrendo con un giro vizioso una strada che non è certo la più diretta. Nessuno ha mai spiegato questo strano viaggio e l’altro apostolo Matteo che pur racconta i fatti omette la parte in cui Gesù entra in una casa di nascosto ed elimina inoltre i dettagli del ritorno attraverso Sidone (Matteo 15, 21-29). La sua fama quindi lo precedeva e fu chiamato a guarire una ragazzina posseduta dal demonio. La domanda tuttavia è un’altra: chi dimorava in quella casa? E perché non voleva che si sapesse? E soprattutto: che ci faceva Gesù in Fenicia? Tutte domande che resteranno senza risposta.