La storia è nota ma vale la pena di ricordarla ancora una volta. In cinque si sono dimessi dall’ospedale di Salerno. «Eravamo i primi in Italia per risultati. Ma poi hanno sdoppiato il reparto»
Uno dopo l’altro, in poche settimane, hanno dato le dimissioni. In cinque, il dream team della cardiochirurgia salernitana, primario compreso, hanno lasciato (o meglio sono scappati) l’ospedale Ruggi. Un caso più unico che raro, come d’altronde lo era stata già nel 2020 la duplicazione del reparto: due cardiochirurgie ospedaliere. Mai viste. A capo di questa squadra Severino Iesu, che, per la prima volta, spiega i motivi di questa fuga di massa. Di fatto uno dei due reparti si è autodistrutto.Il Professor Iesu, con parte della sua squadra, andrà a lavorare a Pineta Grande, un’altra porzione andrù a Campobasso. Le sue parole al Corriere del Mezzogiorno sono state le seguenti:«Ho rescisso il mio contratto, sarei potuto rimanere fino all’ottobre del 2025 se avessi potuto lavorare in condizioni che consentissero la migliore cardiochirurgia possibile, ma nel tempo le cose sono mutate. Ed è la stessa che ha animato gli altri che sono molto, ma molto più giovani di me. l mio progetto era quello di continuare a crescere e lasciare una cardiochirurgia solida e strutturata, che mi sopravvivesse. Siamo andati via per tre motivi. Per una dolorosa necessità, per un atto di protesta e uno di amore. La dolorosa necessità deriva dal fatto che non ci sono le condizioni a Salerno per poter fare una cardiochirurgia di eccellenza. Solo l’anno scorso a Boston siamo stati considerati tra i migliori della chirurgia dell’arco aortico. Per quasi 30 anni siamo stati l’unico reparto al Ruggi: nel 2016 facevamo 750 interventi all’anno. Quindici-diciotto a settimana. Nel biennio 2015-2016 abbiamo trattato 700 casi di chirurgia coronarica con lo 0,2 per cento di mortalità aggiustata. Eravamo i primi in Italia. Oggi nel 2022 siamo scesi da 750 a 450 interventi, 7- 8 interventi a settimana e nel nostro mestiere la qualità e la quantità sono un binomio inscindibile. Per allenare un chirurgo ci vogliono 70-80 interventi all’anno. I numeri sono cambiati perchè è stata strutturata una secondo cardiochirurgia nel 2020, nel periodo del Covid. Sottraendo forze infermieristiche ad altri reparti, incastrandola in un contesto non sufficiente neanche per una. Per questo la nostra qualità è caduta. La goccia è stata la trasformazione della terapia intensiva post operatoria, che in parte controllavamo, in una struttura complessa. Questo di fatto ci ha tolto il controllo dei pazienti. A quel punto non c’erano condizioni per fare bene il nostro lavoro. Queste condizioni ci hanno indotto alla protesta. In Italia non si dimette mai nessuno, noi ci siamo autodistrutti per protestare contro una situazione calata dall’alto senza che nessuno ci abbia interpellato, in maniera irrispettosa nei confronti di un posto che aveva standard alti. bbiamo dovuto trovare una exit strategy, lavoreremo tutti insieme, saremo quindici cardiochirurghi, l’idea è di costruire una cardiochirurgia da almeno 500 interventi all’anno e la mia idea non è cambiata, mi deve sopravvivere quando deciderò finalmente di andare in pensione».