LO STUPRO COME CRIMINE DI GUERRA LA NATURA POLITICA CON CUI SI MANTIENE LA DOMINANZA MASCHILE
“Tutte riferiscono la stessa storia, di aver subito stupro di gruppo e violenza di ogni sorta, tanto estreme che presentavano ferite, lacerazioni ustioni, conseguenze di colpi d’arma da fuoco nei genitali. Non avevo mai visto cose del genere” Mukweg (2018). Nel linguaggio comune, sdoganato dai media e ripreso da internet, sembra essere di moda un atteggiamento molto violento. L’odio più alto si registra verso le donne, sembra diventata consuetudine augurare lo stupro, la violenza, le botte. Forse una delle prime depositarie di questo linguaggio è stata l’on. Laura Boldrini, presidente della Camera, ma purtroppo non è la sola.
Le ultime minacce di stupro, sono state quelle rivolte alla madre di etnia rom della periferia romana -Casal Bruciato – tutti ricordiamo il “ti stupro troia”.
Come sia possibile che un certo linguaggio insinuatosi nella rete e sentito e risentito centinaia di volte, tutti i giorni, scavalchi la rete e divenga reale, credo ce lo siamo chiesto tutti. Stessa sorte toccò a Carola Rackete, la capitana della nave Ong che fu attesa allo sbarco a Lampedusa da un coro di frasi inneggianti lo stupro. Purtroppo i casi da citare mentre scrivo non cessano, infatti, da personaggi pubblici a donne comuni i messaggi d’odio sono cosi in aumento da aver scatenato una battaglia legale dal nome Odiare ti costa.
La campagna offre assistenza legale a chi è vittima dell’odio in rete e, tra le promotrici dell’associazione Tlon, troviamo l’avvocata Caty La Torre.
Tale pratica, però, non è affatto nuova, l’incitamento alla violenza sessuale come ci racconta tutta la storiografia riguardante lo stupro di guerra, risale all’antichità. Lo stupro come un’arma da guerra è la diretta conseguenza di una cultura di sottomissione e dell’oggettivazione.
Fu atto politico lo stupro ed il sequestro di Franca Rame nel 1973. Per questo non ci fu nessun arresto, la Rame racconterà l’episodio nel monologo teatrale Lo stupro nel 1975. Solo nel 1987 lei stessa dirà che era un racconto autobiografico.
La natura politica della violenza emergerà solo nel 1998 quando si seppe che ad ispirare lo stupro erano stati alcuni alti ufficiali della divisione dei carabinieri Pastrengo. Si parlò di stupro politico e stupro di stato, il presidente della Repubblica allora in carico, Oscar Luigi Scalfaro si scusò pubblicamente.
Si definiscono stupro di guerra tutte le violenze carnali commesse nei conflitti e tra questi rientrano negli stupri di guerra anche l’essere costrette a prostituirsi, diventando schiave sessuali: confort woman o donne di conforto. Le prime notizie di tali pratiche arrivano dal Giappone imperiale, donne costrette ad essere parte dei corpi di prostitute. Infatti il termine sia in italiano che in inglese deriva da quello giapponese IANFU che sta per prostituta.
Queste donne furono rapite e con metodi coercitivi o con inganno furono costrette alla prostituzione. Talvolta venivano rastrellate nei territori occupati, oppure reclutate e poi incarcerate nei centri di comfort. Questa storia è diventata nota dopo la guerra di Corea.
A causa dell’ostruzionismo Giapponese sono emerse poche tracce e, solo nel 1973 con il libro di Kakou Senda, si è cominciato a parlare di questa vicenda.
Nel 1974 un film pornografico sudcoreano chiamato Changgun Wianbu (corpi volontari delle donne) parlerà di questo avvenimento. Solo nel 1993 con l’emendamento della dichiarazione do Kono si avranno le conferme degli abusi nel periodo bellico.
I centri di confort si prefiggevano lo scopo di prevenire gli abusi di guerra ed abbassare l’ostilità verso l’esercito giapponese. Il primo centro di conforto nacque a Shanghai nel 1932. Le prime donne si arruolarono in maniera volontaria, successivamente, stante la carenza di reclutamenti volontari, si diede vita alla pratica del rastrellamento delle donne dei territori invasi.
Più la guerra andava avanti più diventava difficile reclutare donne, nonostante le razzie e gli inganni. Era in voga la pratica detta Sanko Sunken letteralmente la politica del tutto, uccidi tutti, saccheggia tutto e distruggi tutto ed era incluso il sequestro e lo stupro.
La metodica dello stupro in guerra è utilizzata come strumento di guerra psicologica, in quanto, tale pratica umilia i nemici. Pertanto, la violenza sessuale nei conflitti può considerarsi sistemica, in gran parte dei casi gli stessi comandanti incoraggiano tale pratica. Oggi lo stupro di guerra e la schiavitù sessuale sono state riconosciute nella convenzione di Ginevra come crimine contro l’umanità, affiancando anche il genocidio.
Le vittime nella maggior parte dei casi sono i civili, ed anche se esistono leggi severissime contro le barbarie ai civili, gli stupri non sono perseguiti in maniera repressiva. Con quest’assunto si riperpetua la convinzione che questi siano crimini di minore entità. Lo stupro di guerra è stato tenuto nascosto fino a non molto tempo fa. Lo slogan “Con la vittoria viene il bottino” è stato un grido di guerra usato per secoli, le donne erano sempre una parte del bottino (il Ratto delle Sabine). Molta letteratura riguardante lo stupro di guerra, l’ha descritto come un fenomeno inevitabile, un atto biologico, quasi naturale, una paga per i soldati, una prova di mascolinità. La guerra stessa è uno stupro dirà Harold Washington nel suo libro Gender and Law in the Hebrew Bible and the Ancient Near Eat. Gli stupri di guerra si inseriscono nel contesto culturale cui la violenza appartiene e gli sconfitti ne sono vittime. Nell’assunto, quindi, che lo stupro è un atto politico, va ricordato che lo stupro di uomini non è così insolito. In uno studio del 2009; Lava Rights Stemple, Male Rape and Human, si mette in evidenza come questo tipo di violenza abbia documentazione in ogni parte del mondo. Il caso senz’altro più famoso della nostra storia è quello ricordato nelle Forche Caudine. Lo studio dimostra che lo stupro e la tortura di prigionieri politici è praticata ovunque.
Nel periodo fascista, il generale Rodolfo Graziani, l’ufficiale che operò la riconquista della Libia, guidò una spedizione che violentò donne e uomini. Successivamente il generale Graziani fu condannato a 19 anni di carcere, tra l’altro mai scontati, come criminale di guerra. (Per approfondire l’argomento Stupri di guerra e violenza di genere Edisse Edizione)
Un altro evento storico è il madamato nell’era coloniale. Con il termine madamato, ci si riferisce a quel fenomeno che prevedeva una relazione temporanea more uxorio tra un cittadino italiano (prevalentemente soldati) ed una donna originaria del territorio occupato (in genere una minore). Ci si riferiva alle donne chiamandole madama da qui l’origine del termine. Questo fenomeno si sviluppò in principio in Eritrea e poi si diffuse nelle altre colonie italiane a partire dal 1870, anno in cui iniziò l’invasione del Corno d’Africa da parte degli italiani. Il fenomeno andò avanti fino al 1941 anno in cui ufficialmente finiva il colonialismo italiano.
Sin dal cominciare di tale pratica esso fu giustificato come aderente alla tradizione locale le “nozze per mercede”, un contratto matrimoniale che vincolava i coniugi a una reciprocità di obblighi ed all’uomo sarebbe toccato provvedere alla prole anche dopo che il contratto fosse scisso. Ma il madamato, dai coloni italiani, fu inteso soprattutto come la possibilità di fruire di lavori domestici e del sesso; questa pratica fu un alibi che venne utilizzato dai soldati italiani per poter avere libero accesso al sesso con bambine abissine e libiche. I soldati venivano invogliati a scegliere spose bambine, anche per contrastare l’abitudine di frequentare i bordelli e contrarre malattie veneree.
Il madamato fu ritenuto anche da Ferdinando Martini, primo governatore dell’Eritrea, un sopruso nei confronti delle donne del posto. Questa abitudine si diffuse in maniera capillare, sia perché i soldati in Africa erano soli, senza famiglie e mogli, sia per l’accordo dei Comandi Militari che favorirono tale pratica per evitare la frequentazione di prostitute. A causa di questo fenomeno nacquero moltissimi bambini meticci che non vennero riconosciuti dai padri e furono abbandonati, data la povertà delle madri. I bambini furono accolti da brefotrofi gestiti da religiosi.
In seguito all’invasione della Libia, il fenomeno prese piede anche in altri posti tanto da costringere il Generale Graziani, nel maggio del 1932, ad emanare una circolare da Bengasi, con la quale rimpatriò quattro ufficiali che avevano fatto ricorso al madamato. Nello stesso documento, il generale affermava: “questa del mabruchismo è un’altra delle piaghe che ha travagliato la colonia […], il solo lato disciplinare e morale del fenomeno è sufficiente per condannarlo e deprecarlo” (L. Goglia, F. Grassi, 1993, p.354).
Con l’introduzione delle leggi razziali, il madamato fu proibito e perseguito penalmente, in questo modo le élite coloniali cercarono di rafforzare la propria identità dominante, in accordo con la diffusione delle teorie biologiche della “razza”. Il regime s’impose per bloccare il madamato, solo perché le leggi razziali pretendevano la protezione della razza italiana. Indro Montanelli fu probabilmente l’italiano più famoso ad aver contratto matrimonio di madamato con Fatima, una ragazzina appena dodicenne. In un’intervista rilasciata ad Enzo Biagi per un servizio rai del 1982 così raccontava:
“Aveva dodici anni… a dodici anni quelle lì [le africane] erano già donne. L’avevo comprata dal padre a Saganeiti assieme a un cavallo e a un fucile, tutto a 500 lire. Era un animaletto docile, io gli misi su un tucul (semplice edificio a pianta circolare con tetto conico solitamente di argilla e paglia) con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi assieme alle mogli degli altri ascari […] arrivava anche questa mia moglie, con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita” (intervista rilasciata a Enzo Biagi per la Rai nel 1982).
Non era la prima volta che Montanelli parlava pubblicamente della sua sposa bambina che aveva comprato durante l’invasione italiana dell’Etiopia, quando ventiseienne, faceva parte dell’esercito come sottotenente al comando di un battaglione di ascari, cioè militari eritrei. Montanelli raccontò la storia dei suoi rapporti con la ragazzina, nel 1969, durante il programma televisivo di Gianni Bisiach L’ora della verità; e nel corso della trasmissione, Montanelli fu attaccato duramente dalla giornalista femminista Elvira Banotti (eritrea per parte di madre). Il madamato fu soppresso solo perché considerato una iattura per il preservamento della razza. La cultura dello stupro è parte integrante del modello patriarcale che vede le donne come oggetti.
Altro evento storico furono le marocchinate. Con il termine marocchinate ci si riferisce a quel fenomeno di violenza sessuale e fisica sulle popolazioni di ambo i sessi, ma prevalentemente sulle donne, avvenuto durante la campagna d’Italia della seconda guerra mondiale, compiute dai goumier francesi arruolati nel Corpo di spedizione francese in Italia (CEF). Questi episodi di stupri e violenze così barbari sfociarono anche in esecuzioni degli abitanti di quelle zone attraversate dai soldati; molti, infatti, tentarono di ribellarsi a tali violenze ma trovarono una morte feroce.
Il picco di tale violenza si ebbe nei giorni successivi l’operazione Diadem, conosciuta anche come la quarta battaglia di Montecassino, o battaglia della valle del Luri. Fu una lotta degli Alleati avvenuta nel maggio del 1944, l’obiettivo era annientare le truppe della 10° armata Wehrmacht che erano di schieramento lungo la linea Gustav, questi fatti avvenivano durante la Campagna di liberazione dell’Italia durante la seconda grande guerra. Seppure le cifre riguardanti la totalità degli stupri e degli omicidi commessi risultano ad oggi difficilmente identificabili con precisione, i dati del Ministero degli Interni, poi trasmessi alla Commissione alleata di controllo, parlarono di circa 2.000-3.000 stupri di donne. Molte di queste violenze comportarono per le donne il contagio da malattie veneree e circa 800 uomini sodomizzati, la maggior parte dei quali successivamente assassinati tramite impalatura. Le barbarie continuarono attraverso la distruzione di 811 case, poi incendiate. Subito dopo questa battaglia si ipotizza che fu proprio il generale Alphonse Juin a dare cinquanta ore di libertà ai suoi soldati come premio per la vittoria. Il carattere proprio e particolare di un determinato comando è confermato da Vasco Ferretti, storico professore e giornalista, che scrive:
“il carattere sistemico delle violenze e della sostanziale acquiescenza degli ufficiali francesi che erano al comando conferma che essi ubbidivano a disposizioni superiori in base alle quali ai goumier marocchini era stata accordata “mano libera”, o “carta bianca” che dir si voglia nei confronti della popolazione civile italiana nel presupposto che tali truppe erano reclutate “mediante un patto che accordava loro il diritto di preda e saccheggio” La discriminante etica e giudiziaria tra vincitori e vinti in questo caso risulta evidente”
(Ferretti, 2009, p.97)
Durante queste cinquanta ore di libertà si verificarono violenze sessuali inenarrabili con saccheggi e razzie, denominate marocchinate. Dopo le violenze sessuali ci furono contagi di sifilide, gonorrea e altre malattie sessualmente trasmissibili e solo l’uso della penicillina americana salvò le popolazioni colpite da una epidemia. Oltre alle malattie venere, molte donne restarono incinte, diverse delle quali ricorsero ad aborti ed altre che non ressero allo shock o alla vergogna, si suicidarono. Vi furono anche tanti casi di infanticidio dei figli nati dallo stupro, come dimostra l’indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti delle minoranze per il mantenimento della pace e della sicurezza a livello internazionale, consultabile sul sito documenti.camera.it.
Le testimonianze raccontano che diversi comuni laziali furono investiti dalla foga dei Goumiers, tra cui si segnalano in particolare le cittadine di Giuliano di Roma, Patrica, Ceccano, Supino, Morolo e Sgurgola. In questi luoghi numerose ragazze e bambine furono ripetutamente violentate, talvolta anche alla presenza dei genitori. Un’importante testimonianza, raccolta dal professore Bruno D’Epiro, racconta che il parroco di Esperia cercò invano di salvare tre donne dalle violenze dei soldati: il sacerdote fu legato e sodomizzato anch’esso tutta la notte e morì in seguito alle violenze. Si narra, inoltre, sempre secondo alcune testimonianze, che a Pico – FR – i soldati americani sarebbero giunti mentre i Goumiers stavano compiendo le loro sistematiche violenze, ma furono bloccati inspiegabilmente dai loro ufficiali.
Tali violenze furono subite anche in altre parti d’Italia: il fenomeno sarebbe, infatti, iniziato già dal luglio 1943 in Sicilia, propagandosi poi in tutta la penisola e si sarebbe arrestato solo nell’ottobre 1944, quando i CEF furono trasferiti in Provenza (in Sicilia, i Goumiers avrebbero avuto scontri molto accesi con la popolazione locale). Come raccontato anche dall’allora ufficiale britannico Norman Lewis, divenuto in seguito scrittore, gli accadimenti di quei giorni
“Tutte le donne di Patrica, Pofi, Isoletta, Supino, e Morolo sono state violentate… A Lenola il 21 maggio hanno stuprato cinquanta donne, e siccome non ce n’erano abbastanza per tutti hanno violentato anche i bambini e i vecchi. I marocchini di solito aggrediscono le donne in due – uno ha un rapporto normale, mentre l’altro la sodomizza”
(Lewis, 1978, p. 46)
Un’ulteriore testimonianza è quella contenuta nel libro di don Alfredo Salulini “Le mie memorie del tempo di guerra”. Si tratta di un racconto autobiografico che narra di un avvenimento capitato ad una ragazza di appena 16 anni, tenuta prigioniera in un casolare a Vallecorsa e obbligata ad uno stupro di gruppo al quale prese parte un intero plotone di goumiers misti a soldati francesi nascosti tra le file. La ragazza mori dopo una settimana in seguito alle violenze. Alla fine della guerra, venne concesso dalle autorità francesi un indennizzo di 150 mila lire per persona stuprata; purtroppo l’iter burocratico era così cavilloso che pochissimi ebbero questo risarcimento. Anche attualmente esiste la possibilità per le vittime di marocchinate come vittime di guerre civili, ma come sopra i tempi delle pratiche sono lunghi facendo perdere la pazienza a chi si rivolge al fondo, vanificando quindi il tutto.
In Italia per molti anni la vicenda delle marocchinate è caduta nel dimenticatoio; anche oggi probabilmente sono poche le persone che conoscono questa vicenda, l’unica informazione tuttora disponibile più famosa sulla vicenda è il film La ciociara, del 1960 diretto da Vittorio De Sica, ispirato al libro omonimo di Alberto Moravia del 1957.
Solo nel 2004 l’allora presidente Campi mostrò solidarietà alle vittime, che oltre allo stupro erano state sottoposte allo stigmate sociale nelle stesse cittadine da loro abitate. A molte fu impedito di sposarsi, ad altri di avere un lavoro anche per questo molte vittime si tolsero la vita.
Ritengo sia necessario parlare degli stupri durante le guerre nelle operazioni di pace ed al loro rimosso sistemico nella narrazione proprio a voler dimostrare che le vittime sono sacrificabili in virtù delle guerre. Lo stupro di guerra è stato da poco normato anche nel diritto internazionale. Un tentativo di punire tale pratica vi fu nel processo di Norimberga, un fallimento in tal senso perché esso non riuscì a dichiarare lo stupro crimine contro l’umanità.
Nel 1949, l’articolo 27 della Quinta convenzione di Ginevra, proibì esplicitamente sia lo stupro che la prostituzione forzata.
Nella relazione dello Statuto di Roma, riconosciuto quale trattato internazionale della Corte penale internazionale firmato nel 1988- entrato in vigore nel 2002 e modificato ancora nel 2010-, c’è il tentativo di costituire un tribunale sovranazionale. La relazione riconosce lo stupro, lo schiavismo a scopo sessuale, la forzata prostituzione, la gravidanza imposta, la sterilizzazione forzata o qualsiasi altro atto di violenza sessuale, comparabile a crimine contro l’umanità. Per riconoscere la violenza sessuale come un crimine contro l’umanità dovremmo aspettare il processo del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia dove appunto, vi furono degli arresti per la violazione della convenzione di Ginevra. Per la prima vola lo stupro fu perseguito, era il 2001, Bosnia-Erzegovina: il verdetto di Foca. Stupro e schiavismo sessuale furono riconosciuti quali crimini contro l’umanità (7 settembre 2009.)
Uno studio di Amnesty International, dimostrerebbe che la violenza sessuale è utilizzata in maniera sistemica poiché tale pratica servirebbe per distruggere la coesione sociale ed eliminare le tradizioni culturali e religiose del posto occupato. Per cui lo stupro è da considerarsi un “arma bellica”, in quanto capace di produrre un grave impatto sulle vittime, idoneo a produrre un effetto traumatico, trasmette malattie e provoca gravidanze indesiderate. Abortire o reperire contracettivi in guerra non è cosa semplice.
Come già anticipato in precedenza, la cultura patriarcale risulta fortemente connessa al ventennio. Lo stupro ricalca tale modello culturale perché no attiene alla sessualità ma al dominio. Anche analizzando i periodi più recenti, nei dati troveremo che anche nelle missioni di pace si annoverano centinaia di stupri.
Un esempio, tra i molteplici, fu quello del caso Ibis (1992\1995), un’operazione di pace condotta dalla Folgore italiana. I paracadutisti italiani, nell’ambito di Reuters Hope, missione avvenuta in Somalia, si resero responsabili di violenza inenarrabili tra cui lo stupro. Per questi crimini nessuno ha mai pagato. Tra i casi più noti alla cronaca, vi fu quello di una giovane donna somala stuprata con un razzo luminoso.
Si stima che la capitale mondiale dello stupro sia il Congo, ove si annovera uno stupro al minuto.
Il 23 aprile 2019, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha approvato una risoluzione contro lo stupro in guerra nella votazione la Cina e la Russia si sono astenute. Ma per avere l’avallo degli USA, il trattato è stato epurato. L’epurazione ha riguardato la “salute riproduttiva”, per non sostenere l’aborto.
Filomena Avagliano